Attività
I laboratori, i gruppi, le attività organizzate
nella nostra residenza
Il percorso nutrizionale si declina attraverso i colloqui individuali, gli incontri di gruppo con il/la dietista e i pasti assistiti. In un percorso che mira alla conquista di una propria autonomia nutrizionale, la persona apprende come pianificare il proprio percorso alimentare, imparando sia a valutare quantità, qualità e opportunità delle scelte effettuate per ogni pasto, sia a migliorare il modo di rapportarsi in generale ad esso (tempo dedicato, frequenza dei pasti, organizzazione degli spazi, eliminazione di distrazioni esterne o fonti di stress). Questo percorso offre così l’opportunità di affrontare e ridiscutere le proprie modalità alimentari disfunzionali e di esporsi gradualmente a situazioni e cibi fobici, in un contesto protettivo che la renda consapevole delle difficoltà incontrate, consentendogli di sentirsi responsabile nel proprio percorso di cura.
Il trattamento dei Disturbi dell’Alimentazione costituisce ancora oggi una sfida terapeutica per gli operatori coinvolti nella cura di questi disordini. La natura egosintonica del Disturbo Alimentare con scarsa e a volte assente consapevolezza di malattia determina una percentuale comunque alta dei dropout con una maggiore incidenza (fino al 70%) nel trattamento ambulatoriale. L’incremento della motivazione del paziente al cambiamento è considerata oggi da molti un focus iniziale nella terapia dei DCA ed è un predittore importante del buon esito del trattamento.
In quest’ottica va inquadrato l’esame bioimpedenziometrico, che può essere utilizzato in due modalità distinte in questi pazienti:
- Come strumento per valutare lo stato nutrizionale del soggetto
- Come fortissimo strumento motivazionale al cambiamento.
L’impedenziometria, conosciuta come analisi dell’impedenza bioelettrica (BIA) per la valutazione della composizione corporea , è un metodo non invasivo, poco costoso, di semplice esecuzione in qualsiasi contesto, dall’ambulatorio alla terapia intensiva, riproducibile e adatto alla routine. La misurazione bioimpedenziometrica è quindi utilissima nei soggetti affetti da DCA non solo ai fini di valutare lo stato nutrizionale nelle fasi di rialimentazione, ma anche per distogliere l’attenzione dal rigido controllo del peso corporeo, che non va più considerato in termini assoluti ma come sommatoria di più compartimenti, a loro volta indicativi di diversi stati di nutrizione e salute.
E’ questo infatti il potere più grande della BIA: scardinare l’ossessione del numero dato dalla bilancia, troppe volte giudice supremo nella vita delle pazienti affette da DCA, facendo pian piano balenare l’idea che il corpo umano è una macchina molto più complessa rispetto alla banalizzazione utopistica del peso. Metabolismo basale, massa magra, massa grassa, liquidi intra ed extra cellulari, angolo di fase, sono tutti termini che gradualmente entrano nella quotidianità clinica delle pazienti, termini con cui incominciano pian piano a fraternizzare, termini in cui incominciano pian piano a ragionare; non esiste più il peso con le sue imprescindibili, incomprensibili e temute modificazioni. Si riesce alla fine a dare insieme una spiegazione logica e scientifica (e quindi rassicurante) a cose che altresì verrebbero negate o vissute con senso di vergogna e/o di auto inefficacia. L’aumento della consapevolezza, e quindi della motivazione, avviene però non in maniera automatica attraverso la mera esecuzione dell’esame, ma attraverso la lettura critica, insieme al paziente, dei valori che la macchina ci fornisce. Ne consegue quindi che il momento della restituzione dell’esame è una fase cruciale; il terapeuta deve necessariamente essere formato non solo per quanto riguarda il funzionamento del macchinario e della fisiopatologia umana, utili per poter decodificare i dati forniti dallo strumento, ma deve avere anche ben chiaro quale obbiettivo terapeutico vuole in quel momento raggiungere (o quale difficoltà vuole in quel momento aiutare il paziente a superare), scegliendo quindi il “taglio” più corretto da dare alla restituzione dell’esame.
Il laboratorio sensoriale consiste in un’attività di gruppo esperienziale attraverso la quale la persona viene guidata nell’esplorazione sensoriale (tattile, olfattiva, visiva, uditiva) di una varietà di alimenti. Praticando un esercizio di astensione dall’abituale coinvolgimento con il cibo, l’esposizione guidata a determinati stimoli alimentari particolarmente salienti per persone affette da DAI o obesità mira alla conquista di un modo nuovo di percepire, di sentire e di sperimentare il proprio rapporto con il cibo. Nel corso dell’attività, la progressiva esplorazione dei vari alimenti attraverso i singoli canali sensoriali consente di accedere a una maggiore consapevolezza sensoriale e di rievocare ricordi pregni di valore affettivo associati ai singoli alimenti.
Il Nordic Walking nasce dall’esperienza di allenamento estivo di sciatori di fondo finlandesi diffondendosi, a partire dagli anni ’90, come pratica motoria senza finalità agonistiche, fino a conquistare un’enorme popolarità.
Il Nordic Walking consiste in una tecnica di camminata in cui, mediante l’impiego di appositi bastoncini, le braccia spingono in modo opposto ed alternato rispetto ai piedi.
La particolarità di questa tecnica consiste nella sua capacità di garantire a ciascun nordic walker di ottenere un’andatura e velocità proprie, offrendo pertanto un’esperienza di camminata ad un tempo sollecitante per il fisico e mai sopraffacente. In buona sostanza, con il Nordic Walking il corpo lavora di più, ma la fatica si sente meno: se correttamente praticata, la camminata con i bastoncini garantisce un elevato coinvolgimento muscolare (fino al 90% dell’intera muscolatura), alleggerendo del 20-30% il carico del peso sulle articolazioni di anca, caviglie e ginocchia. Pertanto, si può affermare che il Nordic Walking è una pratica motoria del 40-50% più efficace rispetto alla camminata tradizionale ed è particolarmente indicato per persone in condizioni di obesità.
I gruppi psicodinamici hanno lo scopo di aiutare la persona nell’esplorazione delle proprie dinamiche consce e inconsce attraverso le possibilità di scambio relazionale offerte dal gruppo.
I gruppi si articolano lungo una direttrice supportivo-espressiva: sul versante supportivo il lavoro e gli interventi sono di tipo informativo-educativo, di sostegno e di supporto al problem-solving ed allo sviluppo dell’assertività; sul versante espressivo-elaborativo, invece, i processi ideativi e affettivi individuali si aggregano alla matrice di pensiero gruppale, dando vita ad uno spazio potenziale e trasformativo delle componenti sintomatiche e relazionali del disagio individuale.
Il genogramma è una rappresentazione grafica della storia familiare che si basa sull’utilizzo di specifici simboli per descrivere le relazioni, gli eventi importanti e le dinamiche di una famiglia nel corso di molteplici generazioni; una sorta di albero genealogico estremamente dettagliato capace di stimolare la persona alla comprensione della propria storia emotivo. Grazie alla partecipazione attiva e supportiva del gruppo, la narrazione condivisa della storia familiare permette di evidenziare modelli di funzionamento significativi e di formulare nuove narrazioni personali. Proponendosi come occasione di ri-significazione della propria storia, capace di promuovere consapevolezza e cambiamento, il genogramma rappresenta un’esperienza cognitivo-affettiva di grande valore clinico e terapeutico.
Il laboratorio di psicomotricità mira al coinvolgimento del corpo e del movimento con significati ed obiettivi più ampi rispetto al solo esercizio fisico. Gli esercizi di psicomotricità inscrivono l’uso del corpo all’interno di una dimensione ludica attraverso la quale sia possibile recuperare un vissuto corporeo globale, ripristinando un rapporto armonico e funzionale tra mente e corpo.
Nel disturbo alimentare e in condizioni di grave obesità la persona vive un rapporto di alterazione nella percezione di sensazioni, pensieri ed emozioni. La psicomotricità lavora al ripristino di una sana esperienza corporea attraverso una educazione al movimento che consenta il recupero della consapevolezza e della memoria corporea, promuovendo alla riconquista del proprio vissuto identitario. In altre parole, l’educazione motoria, cambiando il modo di percepire il corpo, può favorire la consapevolezza e l’accettazione nella percezione di sé e delle proprie caratteristiche individuali.
Gli obiettivi del laboratorio di psicomotricità per i pazienti con DCA sono:
- migliorare la consapevolezza corporea;
- riconoscere i propri limiti e la possibilità di superarli;
- saper condividere un’emozione in gruppo e riuscire a codificarla;
- migliorare la capacità di padroneggiare il proprio corpo, che porta a rafforzare l’autostima e la fiducia in se stessi;
- scaricare la tensione attraverso l’attività fisica;
- avvicinare la persona all’ascolto delle sue sensazioni;
- cambiare i propri modelli posturali e motori;
- stimolare dinamismo e nuova gestualità.
Le attività svolte durante il gruppo sono:
- rilassamento guidato/meditazione;
- respirazione corretta e consapevole;
- esercizi di propriocezione;
- esercizi sul tono muscolare;
- esercizi di riattivazione dei distretti corporei;
- lavoro sulla consapevolezza della propria postura, atteggiamenti, padronanza di sé;
- attività di movimento con la musica: danza libera, danze in cerchio;
- verbalizzazione dell’esperienza e condivisione in gruppo;
La danzamovimentoterapia si costituisce come un valido approccio nel settore riabilitativo inerente i disordini alimentari, caratterizzati da una dispercezione dell’immagine corporea e delle sensazioni propriocettive ed enterocettive, attraverso un lavoro che restituisce ed attiva nei soggetti esperienze corporee positive. L’utilizzo di modalità non verbali, attraverso il movimento, rende infatti possibile recuperare il piacere funzionale del corpo, mediante l’ascolto e la presa di contatto e consapevolezza dei propri vissuti che spesso emergono con forza. Una lettura non giudicante del movimento permette ai nostri pazienti di lavorare sull’autopercezione e sulla consapevolezza dell’immagine corporea “non ho pensato a me come corpo, ma come persona che attraverso il suo corpo può esprimere qualcosa”. Tutto ciò può avvenire soltanto in un setting strutturato, dove si è stabilito un clima di fiducia, all’interno di uno spazio che funge da contenitore. Gli incontri hanno una cadenza settimanale e la durata di un’ora. Attraverso l’utilizzo della danzamovimentoterapia si evidenzia, fin dopo i primi incontri, una maggiore integrazione psico-corporea, un miglioramento delle capacità espressive di comunicazione verbale del proprio vissuto e una consapevolezza della potenzialità ed unicità del proprio essere.
Il trattamento terapeutico del DCA presso la struttura riabilitativa Villa Giulietta prevede, nel rispetto di quanto evidenziato dalla letteratura scientifica, un coinvolgimento diretto da parte dei familiari, ritenuto un passaggio indispensabile e fortemente consigliato per affrontare il percorso, attraverso degli incontri di gruppo online che si svolgeranno ogni due settimane.
A seguito del forte aumento dei casi, ma anche di un importante abbassamento dell’età di esordio di tali disturbi, risulta fondamentale il coinvolgimento parentale per tutta la durata del trattamento, mediante incontri gruppali aperti anche ai famigliari di pazienti che hanno terminato il percorso residenziale, oltre che incontri personalizzati e individualizzati di sostegno genitoriale.
I livelli di intervento si svolgono a più livelli: incontri psico-educativi volti a rendere possibile una migliore comprensione della patologia, ma anche favorire strategie di problem solving da mettere in atto per gestire eventuali crisi e ricadute.
Il coinvolgimento della famiglia contribuisce a ridurre il tasso di drop-out nel trattamento e, nello specifico, consente di realizzare i seguenti obiettivi:
- corrette informazioni sul DCA, decorso, terapie, ecc.;
- Imparare a gestire lo stress, la tensione e sviluppare resilienza;
- Comprendere la difficoltà e le oscillazioni della motivazione;
- Sviluppare abilità di comunicazione;
- Gestire la restrizione e il binge;
- Lavorare sulle relazioni interpersonali attuali e sulla storia familiare;
- Migliorare e abilità di problem solving;
- Gestire i comportamenti problematici;
- Imparare a rilassarsi.
Training Familiarizzazione del cibo TFC
Il training di familiarizzazione con il cibo (TFC) è il fulcro dell’attività nutrizionale dei centri per disturbi alimentari. Il TFC è un protocollo di intervento interdisciplinare che tende a favorire il recupero di condizioni nutrizionali accettabili e di abilità che la malattia ha compromesso, affrontando, insieme alle problematiche alimentari, i fattori che influenzano il sistema fame/sazietà e il controllo del peso corporeo. Nel TFC il paziente e il dietista/nutrizionista lavorano insieme per il superamento delle fobie associate al cibo. Il Training prevede la pianificazione alimentare del pasto sia qualitativa che quantitativa, l’acquisto degli alimenti, la preparazione ed il consumo delle pietanze.
Uno degli obiettivi è quello di sostenere una nuova attribuzione all’atto del nutrirsi, focalizzando l’attenzione sul suo valore biologico, ma anche sociale, insegnando al paziente a muoversi in ambienti a rischio come il ristorante o il supermercato superando la paura di perdere il controllo per reinserirsi in un contesto sociale adeguato.
Un punto centrale del TFC è il laboratorio nutrizionale dove seguendo le linee guida per una sana alimentazione e i principi della dieta mediterranea si creano piatti gustosi e tipici partendo dai prodotti della nostra amata terra. Seguire la stagionalità e preferire i prodotti locali sono infatti alla base della tanto importante piramide alimentare.
Laboratori nutrizionali
I pazienti saranno i protagonisti indiscussi di questo percorso e saranno loro a proporre ricette e a modificarle con l’aiuto del nutrizionista, così come saranno loro ad andare a fare la spesa e a scegliere le materie prime per realizzare dei piatti originali, bilanciati e allo stesso tempo gradevoli. Si preferisce scegliere, quando è possibile, prodotti a km zero quindi provenienti dal territorio dove il centro è situato: la zona dell’Alta Langa, zona rinomata del Piemonte a vocazione per lo più agricola e caratterizzata da un ampio sistema collinare. Non mancherà occasione di sperimentare ricette a base di nocciole, di farine speciali, di carne proveniente da allevamenti del posto.
Le fasi del laboratorio nutrizionale prevedono il meal planning:
Fase 1: I pazienti pensano e pianificano il menù e le ricette che successivamente vengono supervisionate dal terapeuta e discusse in gruppo al fine di concordare in maniera specifica e razionale ingredienti necessari, quantità e modalità di preparazione;
Fase 2: spesa guidata al supermercato: fase molto importante in cui i pazienti vengono educati a muoversi tra gli scaffali senza incorrere nelle tecniche di marketing;
Fase 3: realizzazione del pasto: all’interno della cucina didattica il paziente e il nutrizionista lavorano insieme in un clima sicuro e familiare. Si tratta di una sperimentazione guidata nella preparazione e nel consumo dei pasti, sulla gestione dell’ansia e degli stati emotivi che ne conseguono.
Questa fase comprende anche la decorazione del piatto e della tavola (è molto importante lavorare sul setting).





